10 riflessioni sul rapporto terapeuta/paziente

Tratto dalle dispense del modulo "Elementi di Psicologia clinica e Deontologia professionale" tenuto alla Scuola Superiore di Naturologia del Centro Rebis di Roma negli anni dal 2003 al 2006

di Loretta Sapora

Uno

Nella gestione delle professioni collegate alla cura della salute non si possono seguire le leggi del marketing ordinario: il trattamento non è una merce qualsiasi, le persone non sono consumatori da conquistare ad ogni costo, la logica del profitto non può mai prevalere sui loro interessi e bisogni.

 

Due

Ogni individuo è un essere originale, unico e irripetibile: dobbiamo osservare, sentire e comprendere la sua complessità. Non dobbiamo avere troppa fretta di etichettarlo, né costringerlo forzatamente nei nostri schemi di riferimento, se essi non sono adatti o sufficienti a descriverlo.                                                                                                                                                                                                    

Dare il nome alle cose (cioè definirle) e classificarle è un fondamentale atto di conoscenza, e la conoscenza è potere/sicurezza, mentre l'incertezza e la sospensione del giudizio generano ansia/insicurezza: tuttavia non possiamo rischiare di sostituire la prudente saggezza del procedere per "ipotesi da verificare" con la sbrigativa e pericolosa abitudine alla "precoce sicurezza diagnostica", che impedisce di fatto di valutare correttamente ogni altro elemento che dovesse smentire la prima osservazione/impressione. I modelli teorici, le linee guida, le griglie di valutazione sono aiuti preziosissimi e irrinunciabili ... nella misura in cui non li trasformiamo in rigide e asettiche gabbie in cui sistemare i pazienti. 


Tre

Dobbiamo comprendere il bisogno effettivo della persona, che non sempre coincide con la richiesta che esplicitamente ci ha fatto, e valutare attentamente la possibilità o meno di accogliere la richiesta stessa, considerando che deve essere in sintonia con i bisogni autentici della persona ed il mantenimento/recupero del suo stato di salute psicofisica

Dobbiamo spiegare chiaramente i motivi dell'inaccettabilità della richiesta ai pazienti che cercano di ottenere da noi qualcosa di impossibile o  rischioso/dannoso  (a breve o lungo termine) per la loro salute  (nel senso più ampio del termine), al limite rifiutando di prenderli in carico laddove non dovessero accettare la nostra riformulazione del loro problema.
Naturalmente dobbiamo in ogni caso fare il possibile perché il paziente non interpreti la mancata presa in carico come un  rifiuto personale; probabilmente qualche volta i nostri sforzi non saranno sufficienti ad evitarlo, ma non c'è niente di più dannoso, ingiusto e frustrante di un  "insuccesso annunciato", tanto per il paziente quanto per il terapeuta.
Alcune delle richieste impossibili che mi sono state presentate nell'ambito dell'attività clinica: 
- "Non voglio scoprire niente di me che non sia finalizzato alla dieta" (una donna  in sovrappeso)
- "Mi hanno detto che c'è un bambino insicuro dentro di me; voglio eliminarlo" (un manager stressato)
- "Vorrei essere più capace di sacrificarmi, sopportare meglio certe situazioni..." (una giovane donna sull'orlo dell'anoressia).

    

Quattro

Il mantenimento di un confine precisamente definito, tutela e protegge sia il terapeuta che il paziente: in un'epoca dove tutto sconfina e si mescola, è fondamentale che almeno negli spazi terapeutici individuali, vite e funzioni rimangano chiaramente distinte: almeno lì, l'individuo deve poter incontrare solo se stesso.

Tutto ciò che entra nello spazio terapeutico senza riguardare propriamente il paziente e la sua terapia (questioni personali del terapeuta, telefonate a cui il terapeuta risponde in presenza del paziente, intromissioni di vario tipo dei familiari del paziente......) costituisce un inutile e fastidioso (anche se non subito evidente) ingombro dello spazio stesso, che inevitabilmente ne risulta "diluito", nella sostanza ridotto e/o contaminato.
Attraverso la gestione degli appuntamenti e dei preliminari, il rispetto degli orari e l'organizzazione dello spazio fisico all'interno del quale si svolge la terapia, si possono mandare messaggi immediatamente ed estremamente efficaci sul tema del "confine" che definisce/protegge/limita lo "spazio sacro" del paziente.

 

Cinque

Il paziente, nel profondo (anche se non sul piano della coscienza), sa sempre di cosa avrebbe bisogno e/o cosa dovrebbe fare per stare meglio, ma non conosce, e/o non sa come superare, gli ostacoli che gli impediscono di cambiare la sua vita.
Una volta che li avrà individuati, spetterà comunque a lui la decisione finale sul se, come, quando darsi il permesso di lavorare per superarli.

Nonostante in ogni paziente ci sia almeno una parte autenticamente desiderosa di cambiare la sua situazione/guarire dai sintomi (quella appunto che lo ha condotto alla terapia), non si può sempre contare sulla sua possibilità di accettare (in tempi brevi o in assoluto) sia la terapia in se stessa (con le sue regole ed i suoi strumenti) e sia tutti i cambiamenti/riformulazioni/rivisitazioni che un processo di autentica svolta/guarigione normalmente richiede.
Dobbiamo dunque essere pronti ad accettare l'idea che i pazienti possano avere tempi anche sensibilmente diversi dalle nostre aspettative/speranze/statistiche personali.....ed anche che potrebbero decidere (più o meno coscientemente) di non cambiare/guarire affatto, nella misura in cui dovessero sentire che la terapia e/o la svolta/guarigione (per tutto ciò che comportano) sono per loro più "costose" degli stessi sintomi/dell’attuale condizione.    

 

Sei

Il terapeuta è un facilitatore di processi, che lavora perché nel paziente aumenti la consapevolezza di se stesso e della realtà che lo circonda, e quindi la comprensione delle leggi fondamentali del mondo interno e di quello esterno che continuamente interagiscono; questo gli permetterà di fare scelte/orientare comportamenti in modo funzionale alla sua salute psicofisica ed in generale alla sua vita. 

Il paziente non "viene guarito da", ma "guarisce con l'aiuto di".
Dobbiamo naturalmente accogliere di buon grado il bisogno del paziente di essere sostenuto/nutrito nella situazione di dipendenza/fragilità (più o meno marcata) in cui si trova, ma contemporaneamente dobbiamo mostrargli i suoi punti di forza, le sue risorse e la via per utilizzarle al meglio (cominciando da micro-esperienze, significative ma non troppo difficili da gestire,  quindi rassicuranti e incoraggianti), garantendogli tutto il nostro appoggio ma senza mai "ordinare", e senza mai decidere o fare alcunché in vece sua (neanche se ce lo chiede!). 

 

Sette

La malattia psicosomatica/mentale è il risultato di un processo al momento “necessario/inevitabile” nel senso che: 
•    protegge da qualcosa che è sentito come più pericoloso o insopportabile della malattia stessa 
•    sul piano analogico rappresenta la soluzione della problematica psichica che l'ha generata
•    rispetto a quella problematica, è la migliore soluzione possibile che la persona ha potuto trovare in quel momento.

Riflettendo per esempio sull'anoressia mentale, i suoi sintomi ed il vissuto soggettivo di chi se ne ammala, possiamo facilmente comprendere come: la lotta furibonda ed estenuante combattuta ogni giorno contro la fame testimonia il tentativo disperato di negare un frustratissimo (e quindi enorme e pericoloso) bisogno di "nutrimento" (affettivo, naturalmente) e di dipendenza;  una volontà incrollabile impedisce al cibo normalmente proposto dalla casa di entrare nel corpo, simbolicamente mimando una "chiusura delle porte" sul piano psichico allo scopo di proteggere il soggetto dalla massiccia invasione/usurpazione del proprio mondo interno da parte della madre (analogamente, con l'incremento dell'attività fisica dopo ogni assunzione di cibo giudicata eccessiva, ogni "materiale esterno/estraneo" penetrato "indebitamente" all'interno viene immediatamente neutralizzato/azzerato nella sua possibilità di "cambiare" il corpo); il lavorìo mentale continuo attorno al cibo ed il vistoso deperimento fisico attirano per forza di cose l'attenzione/preoccupazione di tutto il nucleo familiare, in questo modo denunciando il grave problema del "nutrimento" e consentendo un recupero di potere (manipolatorio e surrogato) al soggetto (che però nella sostanza non ha alcun vero potere né su se stesso né sull'esterno).      


Otto

La persona è una unità di parti in equilibrio tra loro; l'equilibrio può essere più o meno buono, ma non è migliorabile attraverso l'eliminazione delle parti scomode o malate, che devono invece essere ascoltate, comprese ed integrate.
L'idea della "chirurgia psichica" è dannosa, e comunque impossibile, perché in realtà le parti negate o tenute in scacco continuano a vivere e lavorare in modo sotterraneo e incontrollabile.

Le resistenze e le difese di una persona, per quanto possano apparirci rigide, castranti, immobilizzanti....hanno una loro ragion d'essere, una funzione specifica ed importantissima della quale, per il momento, il sistema non può fare a meno: proprio come i sintomi, esse non vanno aggredite o forzate, ma ascoltate e comprese.
Sarà l'Io stesso a farle cadere quando avrà trovato soluzioni diverse e più vantaggiose al problema che, per il momento, proprio quelle difese hanno risolto.

 

Nove

Dobbiamo conoscere noi stessi per evitare il rischio di contaminare la relazione terapeutica, proiettando sul paziente il nostro irrisolto (bisogni/paure/conflitti): se questo accadesse, perderemmo la possibilità di "vederlo" e quindi trattarlo adeguatamente.

A titolo di esempio, ecco alcune delle domande a cui ogni terapeuta dovrebbe saper rispondere:
•    Conosco le ragioni "vere" della mia scelta professionale?   
•    Conosco i miei punti forti e i miei punti deboli?
•    Cosa temo di più in una relazione? (e quindi: cosa potrei non vedere/evitare/attaccare/punire nei miei pazienti?)
•    Cosa desidero soprattutto in una relazione? (e quindi: cosa potrei chiedere/pretendere/premiare nel rapporto con i pazienti?)

 

Dieci

Dobbiamo evitare le tentazioni narcisistiche:
•    non è per il nostro grande potere che il paziente guarisce
•    non è per nostra colpa se, nonostante abbiamo fatto un uso corretto di strumenti e competenze, non guarisce
•    dobbiamo continuamente verificare le nostre ipotesi e monitorare l'effetto delle nostre azioni terapeutiche, senza presumerci onniscienti
•    dobbiamo onestamente riconoscere ed umilmente accettare i nostri eventuali errori, perché solo così saremo in grado di non ripeterli: la presunzione di onnipotenza conduce presto o tardi all'impotenza.

Solo l'accettazione del limite permette di lavorare per superarlo; solo la chiarezza della visione permette di distinguere un limite superabile da uno non superabile; solo la saggezza permette di non sperperare le proprie energie in "imprese impossibili".
Nella sfida alla realtà si perde sempre, mentre il rifiuto della fragilità compromette l'efficacia della forza; in effetti, nessuno è fragile o forte in assoluto, sempre, ovunque e in ogni cosa. 

 

Ultime News

12-02-2024 15:45
Carlo Saraceni e Giuseppe Ruggeri, a distanza di molti anni dal loro lavoro sul Confine del Sé nelle risposte al Test delle Macchie di Rorschach, nel 2017 hanno pubblicato con l'editore France A...
06-12-2023 11:00
È uscito di recente il Manuale del metodo “Il ritratto psicodinamico” di Alessandra Rapetti: come indica il sottotitolo, si tratta di una psicoterapia psicoanalitica breve centrata s...